LA PROVA DIABOLICA NELL’AZIONE DI RIVENDICAZIONE

I giudici della Corte di Cassazione con la sentenza n.27366/2016 in tema di azione di rivendicazione della proprietà, hanno affermato che chi agisce per la rivendica deve fornire la prova (anche risalendo ai propri danti causa) dell’acquisto a titolo originario del bene oggetto della controversia.

In particolare, il convenuto non ha l’onere di fornire alcuna prova, mentre chi agisce in giudizio per dimostrare il possesso di un piccolo basamento davanti alla propria abitazione deve fornire la c.d. probatio diabolica.

Così, dopo 22 anni di causa, la Cassazione ha annullato la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva riconosciuto ad una delle due vicine, protagoniste del giudizio, il diritto di occupare una piccola striscia con dei vasi di fiori.

La probatio diabolica è una espressione latina in uso tra gli avvocati che, alla lettera, significa, prova del diavolo, nel senso che non vi sono prove per dimostrare che il diavolo esiste.

Questa espressione viene utilizzata per indicare una prova impossibile. In relazione ad un bene immobile, colui che afferma di esserne proprietario e desidera che il bene stesso gli venga restituito da chi lo detiene o lo possiede dovrà provare la sua proprietà non solo in base ad un valido titolo di acquisto, ma anche che ha ricevuto questo diritto da chi a sua volta era proprietario e così anche per il precedente proprietario fino a giungere al primo ed incontestabile proprietario da cui è sorto a titolo originario il diritto di proprietà in contestazione. Proprio per la grande difficoltà di questo tipo di prova si parla di prova diabolica. Questa prova può essere attenuata nel caso in cui chi rivendica la proprietà ne dimostri l’usucapione attraverso il possesso ininterrotto, unitamente a quello dei danti causa, per 20 anni o per 10 anni, se si tratta di possesso in buona fede.

L’azione di rivendicazione sopra descritta è disciplinata dall’articolo 948 del codice civile rubricato nel capo IV delle azioni a difesa della proprietà, a norma del quale “il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore oltre a risarcirgli il danno. Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa. L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione”.

L’azione di rivendicazione ha quindi una finalità restitutoria ed ha natura reale.

La prova, come abbiamo visto, può essere molto difficile quando si tratta di beni immobili, perché il dante causa potrebbe non essere stato proprietario del bene e così per i precedenti proprietari sino a risalire al primo acquisto.

L’azione di rivendicazione è imprescrittibile anche se l’inerzia prolungata nel tempo dal proprietario potrebbe agevolare l’usucapione da parte di chi possiede il bene e quindi, di fatto, impedirne l’azione.

Dal punto di vista processuale, il proprietario non deve essere in possesso della cosa che vuole recuperare.

Diversamente, chi possiede il bene esperirà l’azione di accertamento della proprietà, che lo esime dall’onere della probatio diabolica. Sarà sufficiente allegare o provare il titolo del proprio acquisto, perché questa azione non mira ad una modifica dello stato di fatto, ma solo alla eliminazione di uno stato di incertezza circa il potere di fatto sulla cosa di cui l’attore ha già il possesso (Cassazione Civile, sentenza n.9959 del 16 maggio 2016).

 

 

 

 

Related Posts

Leave us a reply