Gli animali in condominio.
LA LEGGE AD UN ANNO DALLA SUA ENTRATA IN VIGORE E’ DAVVERO POCO CHIARA
La grandezza di una nazione ed il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui essa tratta gli animali (Mahatma Gandhi). Iniziava così il mio articolo di un anno fa. Sicuramente sono stati fatti tanti passi avanti per proteggere e tutelare gli animali ed anche la legge di riforma del condominio ha voluto dare la sua voce al riguardo, ma, ad un anno dalla sua entrata in vigore, l’interpretazione che ne viene data tenta, come spesso accade, di accontentare tutti.
L’art.1138 c.c. riformulato
L’art.1138 codice civile al quinto comma stabilisce che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Ma i dubbi rimangono.
Perché, mentre gli animalisti più convinti sostengono che questa norma impedisce a qualsiasi regolamento – sia di natura contrattuale che assembleare – di vietare la detenzione di animali in condominio, con effetto retroattivo, ovvero di rendere automaticamente nulle eventuali previsioni di divieto esistenti all’atto della entrata in vigore della nuova legge, i più moderati sostengono che questo “divieto di vietare” riguardi solo i regolamenti di natura assembleare, lasciando alla libertà individuale di prevedere contrattualmente diverse disposizioni, anche eventualmente vietando di possedere animali domestici in condominio.
La ripercussione della norma sui regolamenti
Cercando di dare il più possibile una interpretazione autentica dell’art.1138, quinto comma c.c., è opportuno rifarsi alla Commissione Giustizia del Senato che, in sede di approvazione della menzionata norma, rileva come il divieto in parola non riguardi i regolamenti di natura contrattuale, ovvero approvati con il consenso unanime di tutti i condomini o accettato, sottoscritto ed allegato ai singoli atti di compravendita, perché la disposizione è collocata all’interno di un articolo che disciplina il regolamento condominiale di natura assembleare. Tale forma di compromesso è ritenuto fondamentale per la Commissione perché, se da un lato consente di rispettare la sensibilità degli amanti degli animali, dall’altro, in coerenza con i principi dell’autonomia contrattuale (art.1322 c.c.) consente ai condomini di deliberare limitazioni ai diritti domenicali loro spettanti.
Ed, infatti, proprio l’art.1138 c.c. al quarto comma prevede che le disposizioni contenute in questo tipo di regolamento “non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni” (intendendosi come tali i regolamenti di natura contrattuale).
Se, infatti, i proprietari possono prevedere, in applicazione delle facoltà derivanti dal generale principio di “autonomia contrattuale” ex art.1322 c.c., delle regole in grado di comprimere i diritti dei singoli sulle parti di loro esclusiva proprietà (regolamento contrattuale), lo stesso non può dirsi per quei regolamenti di natura assembleare, ovvero codicistici che, come tali, devono rispettare i dettami contenuti dall’art.1138 c.c., ovvero limitarsi a disciplinare l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la gestione e la tutela del decoro architettonico dell’edificio e dell’amministrazione dello stabile.
Un regolamento di siffatta natura potrà quindi disciplinare e regolare la gestione del fabbricato e l’utilizzazione dei suoi beni e degli impianti comuni in esso ricompresi, ma non può disporre delle regole che impongono limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà.
Peraltro, la previsione contenuta al comma quinto dell’art.1138 c.c., che impedisce di vietare la detenzione di animali domestici, non è altro che il risultato di un consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr.Cass.civ.n.3705/2011; Cass.civ.n.13164/2001; Cass.civ.n.12028/1993) che nel corso di questi anni ha negato validità al divieto di detenere o possedere animali domestici contenuti nei regolamenti di natura assembleare.
In merito alla retroattività di questa norma, mi sento di affermare con una certa tranquillità che, in relazione alla efficacia della legge nel tempo, vige il principio della irretroattività della legge, ossia “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” (art.11 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile) per cui i rapporti sorti anteriormente alla riforma continuano a mantenere validità ed efficacia.